Per gentile concessione
Tesi di laurea del Dott. Nicola Motisi c/o Università dell’Aquila A.A. 2011/2012
Relatore: Prof. Mario Baldi
Co-relatore Prof. Maurizio D’Amario
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Effetti del pretrattamento della dentina sulla resistenza alla trazione degli adesivi dentinali
Introduzione
I restauri estetici necessitano di metodiche adesive per legarsi alla struttura dentale al fine di evitare problemi all’interfaccia marginale; in aggiunta ci si può eventualmente valere di tecniche di preparazione minimamente invasive per preservare il substrato smalto-dentinale.
I principi che regolano l’adesione devono essere rispettati anche nel caso in cui si decida di fissare restauri eseguiti con metodi indiretti.
In tutte queste situazioni, deve essere stabilito un contatto tra i differenti substrati e dal momento che sono coinvolti diversi substrati, numerosi sono i problemi da risolvere.
Tante sono state le ricerche realizzate per aumentare l’adesione delle resine composite alla dentina:
• Pashley e Coll. (1981)
• Ferrari e Coll. (1993)
• Goracci e Coll. (1995)
• Sano e Coll. (1995)
A tal proposito si sostiene che per prevenire la formazione di una micro fessura tra dentina e composito sia necessaria una forza di trazione tensile di circa 20 MPa, fissando in tal modo il traguardo da raggiungere per risolvere il maggiore inconveniente delle resine composite: l’infiltrazione marginale.
Le resine composite, se utilizzate da sole, non hanno un’ottimale capacità di chiusura marginale, in quanto vanno incontro al fenomeno della contrazione durante la fase della polimerizzazione1,2 .
Per cui nasce la necessità di interporre un materiale tra la struttura dentaria residua e la resina composita che contemporaneamente racchiuda in se caratteristiche idonee per quanto riguarda elasticità ed adesione con i substrati con cui va a legarsi1.
Proprio per gestire tali problematiche sono nati gli adesivi smalto-dentinali (comunemente chiamati anche adesivi dentinali o dentin bonding agents) i quali hanno avuto una evoluzione impetuosa a partire dalla loro prima apparizione, a inizio anni ’80, fino ad oggi, dove sono diventati i materiali più studiati, discussi, e soprattutto utilizzati nella quotidiana attività clinica routinaria.
In tempi recenti, è entrato in voga il termine silent devolution, rivoluzione silenziosa, riguardo la graduale e costante comparsa di tecniche adesive nella pratica clinica3.
In particolare numerosi studi hanno indicato nel pretrattamento della dentina una possibile e valida alternativa per migliorare le prestazioni della tecnica adesiva.
Sono state messe a punto e perfezionate nel corso degli anni varie tecniche di pretrattamento.
Fra tutte queste metodiche molto importanti ai fini clinici sono risultate essere:
• Il pretrattamento mediante l’utilizzo della clorexidina
• Il pretrattamento mediante la sabbiatura con particelle di ossido di alluminio ( Al2O3)
Scopo della presente ricerca sperimentale è stato appunto di valutare se, effettuando un pretrattamento della dentina mediante una air abrasion, i valori della resistenza alla trazione venivano incrementati con un conseguente possibile miglioramento della efficacia clinica del restauro dentale.
Il processo di sabbiatura è stato effettuato mediante l’utilizzo di particelle di Ossido di Alluminio del diametro di 50 µm.
La procedura è stata eseguita utilizzando campioni ottenuti da terzi molari estratti.
Questi elementi hanno subìto un trattamento iniziale che prevedeva la sezione coronale. In seguito sono stati divisi in 2 gruppi a seconda del trattamento che dovevano ricevere.
Il gruppo 1 ha subìto una semplice mordenzatura con acido ortofosforico al 37% e in seguito un trattamento adesivo mediante applicazione di primer e bonding.
I campioni del gruppo 2 invece, prima di tali procedure adesive, sono stati sottoposti a un pretrattamento con sabbiatura mediante particelle di ossido di alluminio.
L’obiettivo ultimo da ricercare in questa sperimentazione consisteva nel valutare la differente resistenza che i due gruppi avrebbero registrato mediante il Microtensile bond strength test.
Il risultato di questa sperimentazione ha messo in risalto come effettivamente la forza di adesione nei due gruppi testati sia statisticamente diversa. In particolare, la resistenza alla trazione dei campioni appartenenti al gruppo che aveva subìto il pretrattamento mediante air abrasion è risultata significativamente maggiore rispetto ai campioni appartenenti al gruppo che aveva seguito il protocollo standard.
Si è evidenziato quindi come un pre-trattamento di superficie prima della procedura adesiva possa migliorare la forza di adesione dei compositi ai tessuti dentinali, suggerendo un suo possibile utilizzo anche nella pratica clinica.
1 L’ADESIONE
• Principi di adesione
L’adesione è il fenomeno fisico che definisce l’attacco di una sostanza ad un’altra quando vengono a stretto contatto l’una con l’altra4,5, perciò essa può essere definita come la forza che lega assieme due materiali dissimili quando questi vengono interfacciati.
Tale fenomeno è quindi diverso dalla coesione, che consiste nell’attrazione tra atomi e molecole della stessa sostanza.
L’adesione è determinata dall’attrazione di molecole appartenenti alle superfici che vengono a contatto; la forza di legame dipende dalla quantità di forza presente su ogni sito di contatto.
A livello atomico , i solidi presentano spesso superfici ruvide, il che comporta un contatto solo in alcuni punti.
Per ottenere un contatto migliore tra i due materiali, deve quindi essere interposto uno strato intermedio detto adesivo.
Le superfici ,o più generalmente i substrati che sono adesi, vengono chiamati aderendi.
Le due principali teorie riguardanti fenomeni di adesione osservati sono:
• La teoria meccanica, che stabilisce che l’adesivo solidificato si connette con le rugosità e le irregolarità della superficie dell’aderendo;
• La teoria dell’adsorbimento, che include tutti i tipi di legami chimici tra l’adesivo e l’aderendo, comprese le forze di valenza primarie e secondarie.
Le forze primarie sono i legami di tipo ionico e covalente, mentre le forze secondarie sono il legame idrogeno, l’interazione dipolare e le forze di Van der Waals.
Il più importante requisito per ottenere un’adesione efficace è permettere un contatto sufficientemente stretto tra i due materiali da legare reciprocamente.
A questo scopo nei corpi solidi possono essere utilizzati materiali liquidi o fluidi, ovvero gli adesivi.
Il loro stretto contatto con il substrato dipende: dalla bagnabilità del substrato, dalla viscosità dell’adesivo, dalla morfologia e dalla ruvidità del substrato stesso.
La bagnabilità di una superficie solida con un liquido è caratterizzata dall’angolo di contatto di una gocciolina dello stesso liquido posta sulla superficie della gocciolina.
Più il liquido si espande sulla superficie, e questo è indicato da un angolo di contatto acuto tenente a 0 gradi, più sarà elevata la bagnabilità.
Il fenomeno della bagnabilità è correlato alla differenza tra la tensione superficiale dell’adesivo e la tensione superficiale dell’aderendo.
Se la prima è inferiore all’energia del substrato, allora si verificherà una bagnabilità dell’adesivo sufficiente6,7,8.
Ciò significa che la bagnabilità di un liquido su una superficie dipende sia dalle caratteristiche della superficie sia da quelle del liquido, soprattutto quando abbiamo a che fare con superfici come la dentina.
In aggiunta la bagnabilità del liquido dipende dai parametri di solubilità e di polarità della soluzione rapportati alla superficie che deve essere bagnata.
Tra le caratteristiche di bagnabilità annoveriamo anche la capacità di rimpiazzare altri liquidi e gas per raggiungere uno stretto contatto con una superficie9.
E’ il caso che si verifica ogni qualvolta il substrato abbia un’elevata energia superficiale e l’adesivo una bassa viscosità.
Qualora l’adesivo, in virtù della bassa viscosità, compenetri le microporosità e le irregolarità tipiche di una superficie ad elevata tensione superficiale, sarà possibile ottenere una ritenzione micromeccanica.
La misurazione dell’angolo di contatto per la valutazione della bagnabilità di un certo liquido su una certa superficie è basata sull’assunto che la superficie sia completamente piana e liscia.
Tuttavia, esaminandola a livello microscopico, troveremo sempre una rugosità più o meno marcata.
Tale situazione è ovviamente un vantaggio, in quanto aumenta la superficie disponibile per il legame e con essa l’area di adesione.
Inoltre , le irregolarità della superficie possono dare luogo a forze di tipo capillare che sostengono la diffusione di un adesivo entro una superficie ruvida10.
Per contro, una superficie profondamente fissurata o frastagliata può – nella fase di contatto – portare a un inglobamento d’aria se la viscosità dell’adesivo non è sufficientemente bassa da permettere una compenetrazione della superficie ruvida10,11.
Il legame chimico invece si attua quando elettroni di due atomi differenti vengono condivisi, ciò porta a forze covalenti o ioniche da 2 a 6 eV circa.
L’attrazione tra due gruppi polari è chiamata adesione fisica.
Queste forze secondarie di attrazione hanno inizio da interazioni dipolo-dipolo da 1/50 a 1/100 delle forze primarie.
E’ un legame rapido, ma reversibile, poiché le molecole rimangono chimicamente intatte sulla superficie.
Per creare legami chimici primari più stabili, le molecole responsabili vengono a contatto entro un certa distanza di circa 0,7 nm, mentre le forze secondarie possono stabilirsi a una distanza di circa 3-4 nm4.
In odontoiatria, l’adesione chimica è solo secondaria; infatti non è stato provato finora che l’adesione chimica sia coinvolta nel processo di legame dei materiali resinosi alla struttura dentale12,13.
Tutte le volte che due materiali che dovrebbero essere legati non hanno alcuna particolare affinità reciproca, si devono impiegare speciali agenti promotori dell’adesione.
Questi agenti possono, per esempio, reagire con entrambi i materiali per stabilire il legame, come nel caso di trattamento silanico dei riempitivi vetrosi nella resine composite.
Si possono anche utilizzare i cosiddetti primers, agenti che modificano il substrato per rendere possibile la bagnabilità della superficie su cui successivamente andrà applicato l’adesivo.
L’adesione allo smalto
Lo smalto è il tessuto più duro di tutto l’organismo, essendo formato per il 96-97%
da materiale inorganico costituito da cristalli di idrossiapatite, assemblati a formare unità elementari costituite dai prismi e dallo smalto interprismatico.
La superficie dello smalto non trattata è liscia, non ritentiva, oppure è coperta da placca; e ovviamente ciò impedisce ogni contatto di qualsiasi materiale al dente.
Esso quando non è trattato ha un’energia di superficie di 28 dynes/cm.
Per tale motivo lo smalto deve essere condizionato. Le tecniche adesive iniziarono nel 1955 grazie a Buonocore che fu il primo ad applicare l’acido fosforico allo smalto e verificò che questa procedura dava luogo a una superficie alterata che accresceva il legame di palline acriliche ai denti umani14 .
In seguito altri studi suggerirono che la formazione di estroflessioni di resina all’interfaccia appartenente allo smalto mordenzato con acido era il meccanismo portante dell’adesione allo smalto.15
L’applicazione di acido fosforico dal 30 al 40% rimuove da 10 a 20 micrometri di smalto superficiale, dando luogo a una superficie ruvida con barre di smalto parzialmente dissolte.
La concentrazione di acido migliore in quanto più efficace è stata valutata e calcolata come al 37% per evitare precipitati insolubili durante la procedura di mordenzatura.16
L’effetto sulla sequenza di mordenzatura allo smalto dipende dall’acidità e dal tempo di applicazione del mordenzante usato.
La sequenza della mordenzatura, che comprende anche un sufficiente risciacquo con acqua per rimuovere tutti i precipitati, dà luogo a una superficie ruvida con un’area superficiale fortemente aumentata e, ancora più importante, a un’energia superficiale estremamente alta (72 dine/cm)17,18.
Ciò aiuta l’adesivo a giungere a stretto contatto con la superficie dello smalto condizionato, formando in questo modo la ritenzione micromeccanica al substrato dentale.
Tuttavia , l’elevata energia di superficie ottenuta sullo smalto mordenzato con acido è anche un potente mezzo di attrazione nei confronti di altri liquidi, come l’acqua, la saliva, il sangue o il fluido sulculare ma il contatto di ciascun liquido con lo smalto condizionato ridurrà l’energia di superficie provocando una ridotta bagnabilità di un adesivo idrofobico.
• L’adesione alla dentina
La dentina è il principale componente del dente,costituita dal 70% di idrossiapatite,
dal 18% di materiale organico, e dal 12% di acqua. A differenza dello smalto,
l’idrossiapatite che costituisce la dentina si presenta disposta irregolarmente in una
matrice organica costituita in maniera prevalente da fibre collagene.
La dentina risulta attraversata da numerosi canalicoli:i tubuli dentinali il cui numero e
diametro varia sia in funzione della distanza dalla polpa che nelle varie regioni di dentina. Nella dentina coronale, ad 1 mm dalla polpa, il numero dei tubuli presenti è 40.000 mm2 circa ed arriva circa a 80.000 a livello cervicale.
Anche il diametro medio cambia, va da 1,8 micrometri nelle zone occlusali a 3,5 micrometri in quelle cervicali.
I tubuli dentinali inoltre, contengono i processi cellulari degli odontoblasti e sono riempiti di fluido dentinale.
Ciò è alla base di una considerazione importante ovvero il fatto che la dentina è caratterizzata da un’umidità intrinseca che la differenzia dallo smalto.
Inoltre la dentina ha una struttura piuttosto disomogenea poiché a causa di alterazioni fisiologiche o patologiche cambia continuamente la propria struttura; perciò avremo una variabilità estesa nel processo di condizionamento in base al fatto di trovarsi di fronte una dentina cariata, o ipersensibile, o sclerotica.
Tutti i tipi di dentina hanno però un fattore in comune, cioè l’acqua, per cui è necessario che l’adesivo sia idrofilo per entrare in contatto con la dentina.
Un altro problema che si instaura quando si considera la superficie della dentina è la formazione del fango dentinale a seguito della strumentazione.
E’ uno strato poroso di circa 1-7 micrometri composto da idrossiapatite e collagene alterato.19,20,21,22
Esso chiude i tubuli dentinali e previene il trasudamento del fluido dentinale, ma
soprattutto impedisce a ogni materiale di entrare in contatto diretto con la dentina solida.
Ci sono diversi modi per trattare il fango dentinale;
• Si può usare come substrato (ciò significa che l’adesivo fa uso delle sue porosità)
• Si può modificare dissolvendolo in parte
• Si può rimuovere totalmente
L’adesione al fango dentinale può solo facilitare una forza di legame al substrato dentale che dipende dall’attacco del fango dentinale alla dentina solida e dai residui pulpari compressi entro i tubuli dentinali.
Tuttavia un tale approccio all’adesione alla dentina che usa il fango dentinale come substrato ha consentito di raggiungere valori di forza piuttosto deboli.
Perciò per venire a stretto contatto con la dentina solida , il fango dentinale deve essere almeno parzialmente dissolto e incorporato entro lo strato adesivo o rimosso totalmente.
Entrambi gli approcci fanno uso di acidi o soluzioni acide.
La profondità della decalcificazione è di circa 3-10 micrometri, dipende dal tipo di acido e dal tempo di applicazione dello stesso23,24.
L’interazione degli acidi degli acidi con la dentina è limitata dal potere tampone dell’idrossiapatite. La procedura di mordenzatura non solo dissolve il fango dentinale, ma rimuove anche la parte superficiale della dentina, apre i tubuli dentinali con una sagoma imbutiforme e demineralizza la superficie della dentina24.
Dopo avere mordenzato la dentina e risciacquato l’acido dalla parete della cavità, la dentina demineralizzata assume l’aspetto di un reticolato di collagene privato del supporto da parte dell’idrossiapatite.
I problemi riguardanti l’adesione alla dentina possono essere ricondotti sostanzialmente a tre fattori: l’idrofilicità, la bassa energia di superficie e la struttura delle fibre collagene. Per superare questi ostacoli, si deve impiegare un agente promotore dell’adesione.
Tale funzione può essere assolta da un primer idrofilico, in grado di promuovere la diffusione dell’adesivo entro il reticolato di collagene ed entro i tubuli pervi.
La penetrazione entro il reticolati collagene ha per risultato la ricostituzione di una zona, chiamata ”strato ibrido”.25
Le attuali conoscenze sulle tecniche adesive dicono che lo strato ibrido è al contempo il punti di forza e il punti debole.
E’ un punto di forza poiché la maggior parte dei sistemi adesivi presenta valori di adesione ridotti se, mediante un agente proteolitico (come l’ipoclorito di sodio) sono rimosse le fibre collagene26,27 impedendo l’infiltrazione e la formazione dello strato ibrido stesso.
Ma è anche punto debole poiché è stato dimostrato l’invecchiamento di pochi mesi provoca la degradazione dello strato ibrido e l’esposizione nel cavo orale .
Tale fenomeno può essere spiegato mediante l’ipotesi del nanolekage: studiando mediante TEM i sistemi adesivi, si riscontra la presenza di zone di infiltrazione e di uno specifico tracciante (nitrato di argento) nello spessore dello strato ibrido in assenza di un distacco evidente all’interfaccia.
Tale infiltrato è definito nanolekage in quanto è visibile solamente attraverso alcune tecniche di microscopia ad alta risoluzione come per esempio il TEM o il FE-SEM.
Ciò dimostra che lo strato ibrido è tutt’altro che uno strato compatto e impermeabile,ma anzi è una struttura caratterizzata da micropori e vuoti, definita “ibrinoide” da alcuni Autori 28.
Per cui la non omogeneità dello strato ibrido comporta una progressiva riduzione della forza di legame a causa della degradazione del legame stesso a opera di enzimi proteolitici presenti nella saliva.
2 Tecniche di adesione alla dentina
Tutti i sistemi adesivi contengono:
• Un agente mordenzante, che ha il ruolo di aumentare l’energia libera di una superficie.
• Un agente primer, che aumenta la bagnabilità del sistema adesivo.
• Un agente bonding, che infiltra e permette di fatto il legame.
Tutti questi componenti possono essere combinati in maniere diverse al fine di creare diversi sistemi adesivi.
Essi possono quindi essere classificati in vari modi, i più importanti dei quali sono: in base all’interazione col substrato tenendo in considerazione quindi i vari passaggi (step) necessari per stabilire il legame; oppure in base al solvente utilizzato.
I sistemi adesivi si possono classificare in due gradi famiglie:
• Total ( etch & rise)
• Self etching
• Total etching
Il sistema total etch prevede l’applicazione di una agente mordenzante allo smalto e alla dentina e il successivo risciacquo per rimuovere i Sali e l’acido che si sono formati durante il processo di demineralizzazione.
L’obiettivo di tale sistema è la totale rimozione dello smear layer mediante appunto la mordenzatura di smalto e dentina.
Sono necessari per il suo impiego due o tre passaggi.
Un abbondante lavaggio deve sempre seguire la fase della mordenzatura.
Si possono suddividere a seconda dei passaggi gli adesivi three step e two step.
Per quanto riguarda gli adesivi three step soni necessari tre passaggi consecutivi:
• Primo step: mordenzare la superficie cavitaria con acidi forti (acido orto fosforico al 37%), che espone i primi 3-5 micrometri di fibre collagene sulla superficie dentinale.29
• Secondo step: Si applica il primer, che contiene monomeri idrofilici polimerizzabili dissolti in un veicolo come acetone, o etanolo, o acqua. Questo veicolo conduce i monomeri verso i nanocanali interfibrillari che sono stati creati dalla mordenzatura, cosi facendo vanno a rivestire le fibre collagene esposte e le sostengono in luogo dell’apatite rimossa. Alla fine si esegue un debole getto d’aria che ha il compito di favorire la completa evaporazione del solvente che lascia la superficie pretrattata lucida.
• Terzo step: Si applica il bonding, che di solito è una miscela monometrica idrofobica a cui è affidato il compito di saturare i rimanenti pori intercollaginei con formazione di un hybrid layer di dentina rinforzata di resina, e, grazie ai tubuli aperti, di formare il resin tag. Questi adesivi sono tra i più studiati e consentono di ottenere alti valori di adesione.30
L’altro componente della famiglia delle total etch sono gli adesivi two step, i quali si basano sugli stessi principi per la mordenzatura, ma differiscono in seguito in quanto secondo e terzo passaggio ( primer e bonding) sono riuniti.
La procedura dal punto di vista clinico è quindi più semplice, e l’unica indicazione importante consiste nell’attuare un’applicazione pluristratificata della soluzione.31
• Sistemi adesivi self-etch
Sono quei sistemi che non prevedono un lavaggio dopo la fase di mordenzatura, che risulta quindi combinata assieme a un primer e/o un bonding.
In tal senso un sistema di adesione di tipo self-etching prevede un grado ridotto di demineralizzazione rispetto a quella che si ottiene col tradizionale acido orto fosforico, e una contemporanea infiltrazione, non rimuovendo lo smear layer, ma andandolo a infiltrare e quindi formando di fatto il modified smear layer.
Questi adesivi sfruttano le caratteristiche acide di primer cosiddetti ad attività self-etching.
Questi primer agiscono mediante la parziale dissoluzione dello smear layer e la parziale demineralizzazione della superficie dentinale o smaltea sottostante.
Il meccanismo di adesione è basato principalmente sulla modificazione della composizione chimica della superficie del substrato (un processo detto di ibridizzazione).
Lo strato superficiale di smalto e dentina è parzialmente dissolto e la porosità derivante viene ricoperta dalla resina32; l’infiltrazione dello smear layer causata dai monomeri acidi è quindi completata attraverso l’applicazione della resina adesiva.
La differenza più importante rispetto al total etch consiste nella mordenzatura dello smalto meno pronunciata, e che sulla dentina si forma uno strato ibrido con uno spessore minore (che molto spesso è meno di un micrometro) e i resin tag sono meno pronunciati.
Naturalmente i valori variano a seconda del pH delle soluzioni.
Questo tipo di ancoraggio è molto efficace sulla dentina, ma lascia alcuni dubbi nell’interfaccia con lo smalto tant’è che alcune case produttrici suggeriscono di pretrattare a parte con mordenzatura selettiva.
In questo gruppo si distinguono due ulteriori sottogruppi:i two step e i single bond all in one.
I two step constano di due passaggi:
• Primo step: si applica un primer con caratteristiche acide che tratti il substrato andando a modificare lo smear layer e ad aumentare la bagnabilità di superficie della superficie dentinale;
• Secondo step: si applica un bonding che va ad infiltrare lo smear layer modificato precedentemente.
I sistemi all in one racchiudono in un unico passaggio le caratteristiche dei self-etching.
Il loro utilizzo deriva dall’esigenza di semplificare i vari passaggi riducendoli di numero e di ridurre il range di adesione derivante da una non corretta applicazione.33
• Altri tipi di adesivi
Questi tipi di adesivi si distinguono tra di loro nel tipo di solvente o veicolo utilizzato nella formulazione dell’adesivo.
La presenza di acetone o acqua modifica in maniera radicale la metodica di applicazione ed è quindi fattore che nella pratica occorre tener presente.34
Si distinguono in:
• Sistemi adesivi a base acetonica: in cui la presenza del solvente acetonico comporta una serie di conseguenze:
• Abbassa la viscosità della soluzione e quindi facilita la penetrazione del bonding nella dentina demineralizzata ricca di collagene35
• Riduce la tensione superficiale dell’acqua e presenta quindi un effetto water chasing.
• Aumenta la pressione di vapore dell’acqua dando inizio alla rimozione di acqua dalla superficie colla genica.
Il solvente acetonico quindi permette una forte evaporazione dell’acqua presente sulla superficie dentinale.
L’applicazione di tali sistemi consente di lasciare la dentina estremamente umida, ovvero ricoperta da un film di acqua ben visibile a occhio nudo prima di applicare 2/6 strati di acetone/adesivo.
E’ quindi necessaria un’applicazione multipla per favorire la sostituzione dell’acqua con l’acetone,veicolo molto più volatile.
• Sistemi adesivi a base alcolica: anche in questo caso il solvente alcolico volatile permette una rapida evaporazione ( comunque inferiore rispetto a quanto avviene con l’acetone) e al tempo stesso permette all’operatore di mantenere una superficie lucida e riflettente, ma nel complesso meno umida (utilizzando il getto d’aria del riunito, ma l’operatore al contempo deve essere abile a non rendere la dentina disidratata e quindi opaca ma viceversa lucente in quanto umida)
• Sistemi adesivi a base acquosa: Appartengono a questo gruppo i sistemi a tre passaggi con mordenzatura totale che possiedono in generale primer acquosi e che permettono invece di asciugare senza eccessive preoccupazioni la dentina e lo smalto, dopo il lavaggio che segue la mordenzatura.
Clinicamente si valuta l’opacità della dentina e l’aspetto gessoso dello smalto mordenzato.
Tuttavia, dopo aver applicato il primer (su base acquosa), si rende necessario asciugare la dentina resa umida dal primer. Anche qui, comunque, la dentina va lasciata lucida, riflettente e quindi umida.
Come la dentina, anche lo smalto deve essere di aspetto lucido e non gessoso, come invece è lo smalto comunemente mordenzato.
• Classificazione degli adesivi in base alla loro generazione
• Sistemi adesivi di prima generazione
Nel 1948 Hagger sviluppò uno dei primi sistemi adesivi, un di metacrilato di acido glicerofosforico (Sevitron), che però, presentava un legame instabile in ambiente umido.
Il primo vero adesivo fu presentato da Bowen nel 1965 ( Cervident di S.S. White) nel quale un co-monomero (NNP-GMA) doveva teoricamente chelare col calcio presente sulla superficie del dente per generare il legame chimico.
I risultati clinici furono tuttavia modesti: nell’arco di 6 mesi il 50% dei restauri si era deteriorato.
Allo stesso modo, anche clinicamente i risultati erano modesti, dato che il Cervident aveva riscontri clinici molto poveri quando usato per il restauro di lesioni cervicali senza ritenzione meccanica.
• Sistemi adesivi di seconda generazione
Nel corso degli anni si aggiunsero agli adesivi altre sostanze, che ne migliorarono l’adesione.
Nel 1978 in Giappone36 fu introdotto nel mercato Clearfil Bond System F (Kuraray) , il primo sistema a due componenti ( Fusayama et Al. 1979, Fusayama 1980).
Esso conteneva un monomero idrofobo ( Fenil-P) e un metacrilato idrosolubile (HEMA).
Il suo meccanismo d’azione era basato sull’interazione polare tra gli ioni fosfato caricati negativamente presenti nella resina e il calcio caricato positivamente nello smear layer36.
Questo,assieme alla tecnica EAR di Fusayama, fu il primo sistema con soddisfacenti capacità di adesione a dentina e smalto (Fusayama 1980).
Nel 1983 fu commercializzato Scotchbond che, diversamente da Fenil-P, conteneva un estere fosfato di bis-GMA.
Seguirono poi numerosi altri adesivi (Bondlite, Kerr, Dentin Bonding agent, Johnson & Johnson, Universal Bond, Caulk).
Le forze di adesione andavano nei test in vitro da 1 a 5 MPa,37,38 valore nettamente inferiore al 10 MPa che era visto come valore minimo accettabile per la ritenzione in vivo.
Inoltre queste resine erano prive di gruppi idrofilici, e quindi avevano grandi angoli di contatto sulle superfici intrinsecamente umide39.
• Sistemi adesivi di terza generazione
In quel periodo vi era ancora molto scetticismo nei confronti della tecnica EAR.
Nonostante parecchi studi dimostrassero il contrario, si temeva ancora che l’acido orto fosforico danneggiasse la polpa.
Spesso il bonding veniva ancora eseguito senza la mordenzatura con l’acido orto fosforico, nella speranza che l’abbondante quantitativo di calcio presente nel fango dentinale creasse, assieme ai gruppi di fosfati presenti nell’adesivo, un legame chimico col materiale resinoso.
Tuttavia già entro il primo anno il 30 % dei restauri dentali eseguiti senza la mordenzatura (rispetto al 10 % dei restauri eseguiti con la mordenzatura) mostrava perdita di ritenzione.
La causa dell’insuccesso risiedeva nella disgregazione del legame con il fosfato o nella dissoluzione del fango dentinale.
Diversi coefficienti termici di espansione favorivano la perdita di tenuta, aumentando cosi l’insuccesso dell’operazione.
Kuraray introdusse nel 1984 il Clearfil New Bond.
Questo nuovo materiale a base di fosfato conteneva HEMA e una molecola di carbonio10 conosciuta come 10-MDP., che include un’estremità idrofobica e una piccola componente idrofilica.
La maggior parte dei materiali di terza generazione era ideata non per rimuovere interamente lo smear layer, piuttosto per modificarlo e permettere la penetrazione di monomeri acidi come il Fenil-P o il PENTA.
Nonostante i risultati di laboratorio promettenti, i riscontri clinici però non furono mai soddisfacenti.
Il trattamento dello smear layer mediante primer acidi si propose di utilizzare una soluzione acquosa al 2,5 % di acido maleico, 55% HEMA, e tracce di metacrilato acido (Scotchbond 2).
Scotchbond 2 fu il primo dentin bonding sistem a ricevere l’approvazione dell’ADA nel 198740.
Con questo tipo di trattamento dello smear layer, i produttori conciliarono la filosofia innovativa sostenuta in Giappone con gli approcci più cauti invocati in Europa e Usa.
Il risultato era un mantenimento di uno strato di smear layer con una leggera demineralizzazione al di sotto dell’interfaccia della dentina intertubulare.
I risultati clinici furono misti, alcuni positivi41, altri negativi42.
• Sistemi adesivi di quarta generazione
Sebbene lo smear layer agisca come “barriera di diffusione” che diminuisce la permeabilità della dentina43, essa può anche essere considerato un ostacolo che deve essere rimosso in modo che la resina possa essere legata al sottostante substrato di dentina.
Sulla base di tale considerazione nacquero gli adesivi di quarta generazione.
La rimozione dello smear layer tramite la mordenzatura portò a notevoli miglioramenti dell’adesione nelle prove in vitro44.45.
Gli adesivi di quarta generazione, come All-Bond 2, OptiBond FL, e ScotchBond Multi-Scopo, sono fondamentalmente composti da:
• Una soluzione gel acida che viene in seguito risciacquata
• Una soluzione di primer costituita da monomeri reattivi idrofili in etanolo, acetone e/o acqua
• Un fluid bonding agent riempito o non riempito
Quest’ultimo generalmente contiene monomeri come il bisfenolo glicidil-metacrilato ( bis-GMA), spesso in combinazione con molecole idrofile come l’HEMA.
Oltre a demineralizzare la dentina intertubulare e peritubulare, gli acidi aprono i tubuli dentinali esponendo di fatto una densa trama di fibre collagene e aumentando la microporosità della dentina intertubulare.46
La dentina viene demineralizzata fino a 7,5 micrometri, a seconda del tipo di acido, del tempo di applicazione e della concentrazione47,48.
Le alterazioni del contenuto minerale del substrato inoltre modificano l’energia libera superficiale della dentina.
Il sistema adesivo deve avere una bassa tensione superficiale e il substrato deve avere un’alta energia libera superficiale per un adeguato contatto interfacciale.
L’idrossiapatite e i cementi vetro-ionomeri rimpiti sono substrati ad alta energia, mentre collagene e composito presentano superfici con bassi valori di energia.
Di conseguenza, la dentina consiste di substrati molto diversi tra di loro; l’idrossiapatite con alta energia di superficie, il collagene con bassa energia.
Quando primer e bonding sono applicati alla dentina acidificata precedentemente, essi penetrano nella dentina intertubulare formando una zona di interdiffusione resina-dentina, o “hybrid layer”.
Inoltre essi penetrano e polimerizzano nei tubuli dentinali aperti, formando i resin tags.
• Sistemi adesivi di quinta generazione
Lo sviluppo dei sistemi adesivi ha un ritmo costante e rapido.
Gli studi in vitro hanno dato valori talmente migliorati da avvicinarsi ai valori del legame con lo smalto.
Pertanto i produttori hanno cercato di ridurre il numero dei passaggi necessari con una conseguente riduzione dei tempi di applicazione.
Negli ultimi anni sono stati messi a punto numerosi sistemi di adesione come ad esempio:
• One Step
• Prime&Bond
• Prime&Bond 2.1 e Prime&Bond NT
• Prime&Bond 2.0
• Single Bond
• OptiBond Solo e OptiBond Solo Plus
• PQ1
• Syntac Single Component
• Bondl
• One Coat Bond
• Gluma One Bond
• Sytac Sprint
• Excite
Un altro tipo di materiale con un legame resistente alla dentina è stato commercializzato nel 1970, il cemento glassionomerico (GIC).
Questi materiali erano fissati con una reazione acido-base ed erano anche chiamati cementi al vetro-polialcheonato.
La chimica di questi prodotti ha numerosissimi punti in comune con la famiglia degli adesivi di quinta generazione.
Ciò è dovuto al fatto che alcuni tra i più utilizzati adesivi attuali (il Single Bond e il Coat Bond) contengono derivati del cemento al vetro-polialchenoato.
• Pretrattamento restaurativo conservativo, come per esempio la ricostruzione della quarta parete, o l’utilizzo di una anellino di rame o di una banda ortodontica (nel caso si debba trattare un dente posteriore molto distrutto, con mancanza di una o più pareti della futura cavità di accesso), o l’amalgama ancorata con perni o con pozzetti dentinali (nel caso sia necessaria una terapia endodontica prolungata nel tempo), o l’uso del composito preendodontico (tramite perni o solchi ritentivi).
• Pretrattamento ortodontico,come nel caso di recupero di eventuali residui radicolari.
• In chirurgia preprotesica, si possono considerare pretrattamenti tutte le procedure chirurgiche volte alla correzione dei tessuti molli e duri, necessarie al fine di realizzare un manufatto protesico, per esempio:
• Chirurgia dei frenuli (frenulectomia)
• Chirurgia delle creste mobili
• Iperplasia del tuber
• Vestiboloplastica
• Alveoloplastica
• Chirurgia delle esostosi
• Chirurgia dei torus palatino e mandibolare
• Chirurgia delle creste alveolari taglienti
• In conservativa, per pretrattamento si intende quell’insieme di procedure effettuate al fine di facilitare la ritenzione meccanica e quindi aumentare la capacità di legame e di resistenza del materiale.
Si parla di pretrattamenti dentinali, in quanto tali procedure sono effettuate appunto sulla dentina prima del trattamento vero e proprio con una delle tecniche adesive.
I pretrattamenti che possono essere effettuati sono molteplici, ma i più importanti essenzialmente sono due:
• Pretrattamento con clorexidina
• Pretrattamento con sabbiatura
Pretrattamento con clorexidina
E’ una procedura che non va sottovalutata in quanto gli eventuali residui batterici durante e dopo la preparazione della cavità possono rappresentare uno dei maggiori problemi in odontoiatria restaurativa.50
Pertanto, dopo la rimozione della dentina cariata, è importante eliminare anche eventuali residui batterici che possono essere presenti nelle pareti della cavità, nello smear layer, nella giunzione smalto-dentina, o nei tubuli dentinali.51
Gli studi istologici e batteriologici hanno dimostrato che solo una piccola percentuale dei denti sono sterili dopo la preparazione della cavità e che i batteri rimasti nella preparazione della cavità potrebbero sopravvivere anche per più di un anno.
Per molti anni, tante sostanze chimiche sono state utilizzate e testate come disinfettanti per cavità, tra cui la clorexidina di gluconato, il benzalconio cloruro, potassio e iodio, solfato di rame.52,53
Tuttavia c’è sempre stata preoccupazione per l’uso di disinfettanti per cavità con i dentin bonding agent, in quanto i primi possono avere un effetto negativo sulla forza di legame con le resine composite.
Per cui sono stati effettuati molti studi al fine di valutare tale situazione.
Uno dei più importanti è quello effettuato da Sharma e coll nel 2011.54
Sono stati presi 200 molari permanenti mandibolari, senza lesioni né carie.
Dopo averli conservati in ipoclorito 2,6% e risciacquati, i denti sono stati sezionati ed incorporati in resina acrilica auto polimerizzante per formare cilindri di 2,5 cm di diametro e 5 cm di altezza.
In seguito sono stati divisi i denti in 5 gruppi di 40 elementi ciascuno,in questo modo:
• Gruppo 1: nessun trattamento, gruppo controllo
• Gruppo 2: soluzione clorexidina 2%
• Gruppo 3 cloruro di benzalconio 0,1%
• Gruppo 4: clorexidina gel 1%
• Gruppo 5: Solfato di rame a base di disinfettante
Ogni gruppo è poi stato suddiviso in 4 gruppi di 20 elementi, a seconda dell’adesivo usato, cioè Clearfil SE Bonding o Prime&Bond NT.
Dopo aver applicato l’adesivo secondo le indicazioni della ditta produttrice, i campioni sono stati messi in una macchina per valutarne la resistenza al taglio.
La resistenza è stata misurata in N e riportata in MPa.
I risultati sono stati i seguenti:
3 Pretrattamenti dentinali
Con il termine pretrattamenti in generale si intende una procedura effettuata prima del vero e proprio trattamento.
Gli scopi del pretrattamento possono essere molteplici,in quanto per esempio possono essere semplicemente effettuati al fine di preparare la zona da trattare successivamente, oppure per esempio per facilitare la terapia stessa, o prevenirne eventuali complicanze.
Il pretrattamento è una pratica che può essere riferita in generale a tutte le branche dell’odontoiatria,ed in ogni settore presenta precise procedure che hanno degli scopi ben definiti:
• In endodonzia: un pretrattamento è considerato “l’insieme di tutte quelle tecniche che preparano alla terapia endodontica e che rendono possibile e/o semplificano un isolamento ottimale del campo operatorio” 49.
Nel campo endodontico a sua volta un pretrattamento può essere di vari tipo:
• Pretrattamento parodontale, è il caso della gengivectomia-gengivoplastica (ad esempio nel caso di gengive ipertrofiche), o del lembo riposizionato apicalmente (in caso di corona clinica distrutta al di sotto del margine gengivale e in assenza di abbastanza gengiva per fare un’asportazione di tessuto).
• Pretrattamento restaurativo protesico,come per esempio una corona protesica provvisoria (nel caso la precedente sia stata per qualche motivo rimossa), o l’utilizzo di un perno cavo.
I risultati sono stati che i valori medi di resistenza al taglio dei gruppi Clearfil SE trattati con soluzione di clorexidina, benzalconio cloruro e solfato di rame erano significativamente inferiori rispetto agli altri gruppi.
Inoltre, indipendentemente dal legante, il gel alla clorexidina non ha avuto nessun aspetto negativo sulla resistenza al taglio della resina composita.
Per cui si può affermare che, entro i limiti di questo studio, l’uso di disinfettanti, ad eccezione della clorexidina, potrebbe avere effetti negativi sulla forza di legame dei sistemi adesivi self-etching.
In realtà , l’utilizzo della clorexidina in fase di pretrattamento gioca un ruolo ancora è più importante anche sull’azione di specifici enzimi proteolitici, le metallo proteinasi (MMPs).
Tali enzimi sono rilasciati dalla saliva mediante le ghiandole salivari, dalle cellule nel solco gengivale nei fluidi crevicolari e dagli odontoblasti nei fluidi pulpari.
Le metalloproteinasi, in particolare le MMP2, MMP8 e MMP9, sono indicate come fattori importanti nei processi proteolitici, in quanto vanno a disgregare le fibrille collagene nell’hybrid bond layer.
Inoltre mediante la distruzione del collagene e di altre proteine della matrice extracellulare, le metalloproteinasi sono implicate anche in patologie cardiovascolari60, metastasi61 e processi cariosi62.
I processi di applicazione dell’acido orto fosforico come mordenzante, e di applicazione di primer e bonding, sono implicati nella stimolazione della produzione di tali enzimi.
L’applicazione della clorexidina 2% dopo la procedura di acidificazione invece, è risultata di grande supporto per evitare la produzione delle metalloproteinasi in quanto essa ha azione inibitoria su di esse.
L’attivazione delle metallo proteinasi avviene mediante legame con particolari proteine dette SIBLING 63, che vengono rilasciate durante l’acidificazione che consegue l’applicazione di primer e bonding.
Una volta attivate, le MMP vanno a degradare le fibre collagene esposte nell’hybrid bond layer.
Il risultato è la riduzione del 20% della ritenzione in meno di 5 anni64.
L’applicazione di clorexidina 2% è in grado di aumentare la forza di tale legame.
Ciò è stato dimostrato in uno studio65, in cui sono stati ricavati dei campioni da dei molari estratti.
Sono stati divisi in 2 gruppi, a seconda che, in aggiunta alle normali procedure di mordenzatura mediante acido ortofosforico e all’applicazione di primer e bonding (è stato usato Scotch Bond), fosse stata applicata la clorexidina (gruppo 2) o meno (gruppo 1).
I risultati sono stati che l’applicazione della clorexidina incrementava del 24% la forza del legame.
Ciò è esplicato nella seguente figura66.
Pretrattamento con sabbiatura
Si intende per abrasione una tecnica in cui particelle di ossido di alluminio (ma possono essere usati altri materiali) sono spinte contro la superficie smaltea o contro altri substrati da una forte pressione d’aria, causando abrasione della superficie.
Molti prodotti commerciali hanno suggerito che l’air abrasion può eliminare l’uso degli agenti leganti.
In questi ultimi anni sono stati tanti gli studi effettuati per valutare la reale efficacia di tale trattamento.
Ad esempio uno studio importante è stato effettuato al Department of Restorative dentistry and Biomaterials di Houston, negli Stati Uniti55.
In questo studio sono stati presi in esame degli elementi in cui erano assenti lesioni cariose, classificandoli in 4 gruppi:
• Acido fosforico, primer, adesivo (gruppo controllo)
• Soltanto air abrasion
• Air abrasion, adesivo
• Air abrasion, primer, adesivo
Il sistema adesivo utilizzato era un sistema adesivo di tipo Total-Etch di quarta generazione, in cui acido ortofosforico, primer, e adesivo sono separati.
Sono state quindi misurate le forze di resistenza di legame tra resina composita e dentina, e i risultati furono quelli riportati nella tabella 10.
Un altro studio importante riguardante la resistenza del legame tra dentina e resina composita dopo la sabbiatura è stato effettuato a San Leopoldo, in Brasile56.
Questo studio ha testato gli effetti della sabbiatura con ossido di alluminio e la resistenza a lungo termine del legame tra adesivi self etching e la dentina. Sono stati usati 72 terzi molari che, dopo l’estrazione sono stati puliti con acqua mista a pomice fluorato e conservati in acqua a temperatura ambiente.
I denti sono stati sezionati nella porzione media della corona usando un disco diamantato sotto un getto d’aria-acqua a bassa velocità, per ottenere un piano occlusale di dentina a profondità media.
Una seconda sezione è stata fatta 5 mm sotto la giunzione amelo-cementizia a livello della formazione radicolare. Con delle curettes sono stati rimossi il pavimento della camera pulpare e la polpa camerale.
Attraverso l’accesso alla camera pulpare è stato misurato lo spessore della dentina ed è stato uniformato tutto a 2 mm. Per facilitare la sezione dei campioni la camera pulpare è stata fissata con composito TPH Spectrum, ed in seguito le superfici della dentina sono state abrase con carta abrasiva al silicone a grana 600. I gruppi sono stati divisi casualmente nei 12 gruppi presenti nella Tabella 1:
Nei gruppi 1,2,3,7,8 e 9 la superficie della dentina dei campioni sperimentali è stata sabbiata con 50 micrometri di ossido di alluminio per 10 secondi a una pressione di 60 psi.
Le procedure di bonding sono state fatte secondo le raccomandazioni delle ditte.
In seguito la resina composita TPH è stata inserita in 3 incrementi fotopolimerizzati individualmente per 40 secondi.
I campioni sono stati quindi sezionati verticalmente dalla resina composita parallelamente all’asse lungo, in direzione mesio-distale e linguo-vestibolare.
Una seconda sezione è stata fatta perpendicolarmente all’interfaccia bonded per ottenere fasci 1 mm x 1 mm.
I campioni dei gruppi 2,,3,5,6,8,9,11 e 12 sono stati individualmente conservati a 37°C in acqua distillata.
I campioni sono stati attaccati con colla al cianoacrilato al Microtensile testing machine e testati a una velocità traversa di 0,5 mm/min.
I risultati furono che la sabbiatura della dentina ha avuto un effetto significativo sul Clearfill SE Bond adhesive system dopo 3 mesi.
Non c’erano invece differenze significative a lungo termine.
L’effetto del tempo sulla forza variava a seconda dell’adesivo usato e se era stata fatta la sabbiatura. Clearfill SE Bond con o senza sabbiatura mostravano una forza significativamente maggiore al giorno 1 rispetto al giorno 180.
Infine il One-Up Bond F adhesive system mostrava una forza maggiore al giorno 1 a prescindere dalla sabbiatura.
I risultati sono descritti nelle seguenti tabelle:
I risultati di questo studio inoltre diedero dei risultati interessanti per quanto riguardava la modalità di frattura. A causa della sabbiatura infatti, il 46% delle fratture era coesivo all’interno dell’adesivo, una percentuale significativamente più ampia rispetto alle altre modalità di frattura. Nel gruppo non sabbiato invece, non c’era una grande differenza tra i due tipi di frattura.
Le conclusioni furono che:
• La sabbiatura della dentina con ossido di alluminio non influenza la forza di legame degli adesivi nel tempo tranne per il Clearfill SE Bond adhesive system, che, dopo 3 mesi ha una forza maggiore se usata con la sabbiatura.
• Non ci sono differenze statisticamente rilevanti tra la forza di legame dei due adesivi con o senza sabbiatura nel tempo.
• La conservazione dei campioni influenza la forza del legame perché essa diminuisce significativamente dal 1° al 180° giorno.
Altro studio importante è stato effettuato alla Tel Aviv University, in Israele57.
Questo studio valutava l’effetto di due disinfettanti dentinali (Consepsis, Tubulicid), una soluzione acquosa di HEMA (Aqua Prep), e una combinazione di Aqua Prep e Tubilicid e sabbiatura con Ossido di Alluminio sull’effetto della forza di legame con due sistemi adesivi (One Step e Prime&Bond).
Sono stati usati 167 terzi molari estratti da poco, che sono in seguito stati sottoposti a un trattamento di esposizione della dentina, quindi sono stati casualmente assegnati in 12 gruppi (2 bonding agents, 6 pretreatment protocols).
I sei sottogruppi erano cosi divisi:
• Gruppo controllo,nessun trattamento
• Clorexidina di gluconato 2%
• Tubulicid contenente EDTA 2% e benzalconio clorato 1%
• Aqua Prep (soluzione HEMA 35%)
• Mixture di Aqua Prep e Tubulicid
• Sabbiatura della dentina esposta con particelle di ossido di alluminio di 50 micrometri.
La dentina è stata sottoposta al trattamento con acido ortofosforico al 35% per 20 secondi, quindi sciacquata e asciugata.
Sono stati applicati i sistemi adesivi secondo le raccomandazioni delle ditte produttrici.
I risultati sono evidenziati nelle seguenti tabelle:
Altri studi sulla sabbiatura, e sulla resistenza che la sabbiatura imprime alle forze di legame, sono stati fatti oltre che sul legame resina-dentina, anche sul legame tra due interfacce costituite da resina composita applicata in due epoche differenti.
Uno di questi studi è stato portato avanti a Ulm58, in Germania.
Lo scopo di questo studio è appunto investigare l’effetto di diversi trattamenti meccanici e adesivi sulla forza di legame tra composito preesistente e resina composita.
Dopo aver preparato i campioni, essi sono stati divisi in tre gruppi.
Nel primo gruppo la superficie era irruvidita con un una fresa diamantata ad alta velocità, seguita da lavaggio con gel all’acido fosforico al 34.5%.
In seguito le superfici sono state sciacquate 20 secondi e asciugate con aria compressa.
Nel secondo gruppo le superfici sono state sabbiate con ossido di alluminio (50 micrometri) per 4 secondi a 5 mm di distanza e ad un angolo di 90° con la superficie.
Nel terzo gruppo il sabbiatore è stato usato con particelle di ossido di alluminio rivestite con silicato (30 micrometri).
I tre gruppi sono stati divisi in 4 sottogruppi e sono stati eseguiti i trattamenti adesivi con sistemi multi-step o one bottle primer-adhesive secondo le indicazioni delle ditte. I cilindri di composito sono stati quindi inseriti in stampi di acciaio aventi da un lato un buco al centro e dall’altro una vite e sottoposti al test. I risultati sono riportati di seguito nelle seguenti due tabelle:
Un altro studio è stato effettuato alla Sao Paulo State University59, in Brasile.
Scopo dello studio era valutare la necessità di usare la tecnica Total Etching o Self Etching sulla dentina di denti decidui dopo la loro sabbiatura.
Sono stati usati 25 molari esfoliati che sono stati divisi in 5 gruppi:
• Gruppo 1: Air abrasion, Scotchbond MultiPurpose adhesive, resina composita
• Gruppo 2: Acido ortofosforico 37 %, Scotchbond MP adhesive, resina composita
• Gruppo 3: Clearfil SE, resina composita
• Gruppo 4: Air abrasion,acido ortofosforico 37%, , Scotchbond MultiPurpose Plus, resina composita
• Gruppo 5: Air abrasion, Clearfill SE Bond, resina composita.
Dopo il trattamento della dentina, sono stati ricavati dei cilindretti di 2 mm di diametro e 6 mm in altezza.
I campioni sono stati posizionati in una testing machine per la misurazione delle forze di legame.
I risultati furono che tra i gruppi 1 e 4 non vi erano differenze significative, cosi come non ve ne erano tra i gruppi 2, 3 e 5.
Questi ultimi tre gruppi però avevano risultati nettamente migliori rispetto ai primi due.
I risultati sono descritti nella seguente tabella:
4 LAVORO SPERIMENTALE
• Introduzione
L’utilizzo dei pretrattamenti è un sistema che negli anni è stato sempre più indagato, al fine di conoscere eventuali tecniche che permettano di incrementare i valori di adesione degli adesivi dentinali alla sostanza dentale.
Ciò è dovuto al fatto che l’odontoiatria adesiva, in virtù di qualità molto ricercate dal pubblico quali ottima estetica finale e minima invasività con elevato risparmio di tessuto dentinale, si colloca ai primi posti tra le richieste del paziente nel momento in cui lo stesso si reca dall’odontoiatra per effettuare una terapia di tipo restaurativo conservativo.
Per cui lo studio degli adesivi e delle loro varie tecniche di utilizzo, dei loro vantaggi e svantaggi, e di eventuali metodi per incrementarne durata e prestazioni, è stato, soprattutto negli ultimi anni, alla base della ricerca delle case produttrici.
L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la resistenza della forza di legame tra dentina e resina composita in presenza o in assenza di un pretrattamento effettuato con sabbiatura mediante ossido di alluminio.
Il sistema adesivo adottato è un sistema di tipo Total-Etch, con tre passaggi separati per quanto riguarda la mordenzatura con acido ortofosforico al 37%, la successiva applicazione del primer e in seguito del bonding.
Già prima del presente studio era stata trattata tale problematica, analizzando le forze necessarie per rompere il legame tra dentina e resina composita in presenza di una superficie che aveva ricevuto un pretrattamento mediante sabbiatura con ossido di alluminio57.
I risultati portavano a non notare una differenza significativa tra i gruppi pre-trattati e quelli che avevano subito un protocollo standard. In questo studio, però, erano stati testati solamente due adesivi a base acetonica di tipo total-etch a due passaggi.
Non risulta presente in letteratura uno studio che prenda in considerazione la variabile sabbiatura su un sistema adesivo total-etch a tre passaggi.
Con queste premesse, l’ipotesi del presente studio sperimentale è stata di valutare se, associando un trattamento di sabbiatura sulla dentina, la forza di adesione di un sistema total-etch a tre passaggi rimanesse inalterata. A tale scopo si è effettuato un Microtensile bonding strength test su due gruppi di campioni dentina-composito in cui l’unica variabile era il procedimento della sabbiatura dentinale.
• Materiali e metodi
Per effettuare questo studio sono stati utilizzati trenta terzi molari umani.
Si trattava di elementi recentemente estratti, in cui non erano presenti lesioni cariose né infrazioni di altro genere.
L’intera procedura di sperimentazione effettuata è mostrata nella seguente figura.
Dopo l’estrazione, i denti sono stati conservati in acqua a 4 C° prima di essere utilizzati.
In seguito i 30 elementi sono stati casualmente divisi in 2 gruppi da 15 elementi ciascuno, a seconda del trattamento sperimentale che in seguito sarebbe stato effettuato.
• Gruppo 1: Trattamento con mordenzatura mediante acido ortofosforico al 37 %, applicazione di primer e di bonding.
• Gruppo 2 : Sabbiatura con particelle di ossido di alluminio, trattamento con mordenzatura mediante acido ortofosforico al 37 %, applicazione di primer e di bonding.
Dopo la suddivisione, a tutti gli elementi di entrambi i gruppi è stata rimossa parte della corona dentaria, in una maniera comunque tale da non intaccare l’integrità della camera pulpare.
Tale rimozione è stata effettuata mediante un dispositivo MICROMET.
Ogni superficie è stata resa piana con
180-grit silicon carbide (SiC) paper sotto un getto d’acqua per 30 secondi per produrre un sottile smear layer sopra la superficie della dentina.
La superficie è stata quindi esaminata al microscopio.
In seguito la superficie dei denti è stata sciacquata per circa 10 secondi con acqua e asciugata con un lieve getto di aria fredda.
A questo punto è stato applicato, in tutti gli elementi di entrambi i gruppi, acido ortofosforico al 37% per 15-20 secondi.
Dopo aver atteso il tempo necessario, si è proceduto a sciacquare abbondantemente con acqua per 5-10 secondi e asciugare la superficie con un getto d’aria per 5 secondi.
A questo punto è stato applicato con un microbrush il Primer (Opti-Bond FL Prime- Kerr Italia srl; Scafati, Italia- Batch N°3732051).
Dopo aver atteso 15 secondi è stato soffiato un getto d’aria per 5 secondi.
E’ stato quindi applicato con un microbrush il Bonding (Opti-Bond FL Adhesive- Kerr Italia srl- Batch N° 3667699).
Dopo aver atteso 15 secondi è stato soffiato un getto d’aria per 5 secondi.
In seguito si è polimerizzato, mediante una lampada fotopolimerizzatrice di tipo DEMETRON LC, della casa produttrice Kerr, per 30 secondi.
Per quanto riguarda il Gruppo 2 invece, prima della procedura adesiva in senso stretto si è proceduto a sabbiare la superficie dentinale mediante ossido di alluminio.
Tale procedura è stata effettuata puntando una sabbiatrice intraorale a circa 5-6 cm dalla superficie del dente da trattare con un’angolazione di circa 90°.
La sabbiatura è avvenuta per 10 secondi circa ad una pressione di 2 Bar.
Sono state utilizzate per la procedura di air abrasion particelle di ossido di alluminio del diametro di 50 µm (Al2O3).
Dopo che è stata effettuata la sabbiatura si è risciacquato per 15 secondi e si è asciugata la superficie precedentemente sabbiata per 5 secondi.
Dopo aver sabbiato si è proceduto come per il Gruppo 1:
• E’ stata effettuata la mordenzatura mediante applicazione di acido ortofosforico al 37% per 15-20 secondi circa.
• Si è sciacquato abbondantemente con acqua per 15 secondi.
• E’ stata asciugata la superficie esposta con un getto d’aria per 5 secondi.
• Applicato con un microbrush il Primer.
• Dopo aver atteso 15 secondi è stata asciugata la superficie con un soffio d’aria per 5 secondi.
• E’ stato applicato il bonding con un microbrush.
• Dopo aver atteso 15 secondi, è stata asciugata la superficie con un soffio d’aria per 5 secondi
• In seguito si è polimerizzato mediante lampada fotopolimerizzatrice per 30 secondi.
• Sciacquato con acqua la superficie per 10-15 secondi.
• Asciugato con un getto d’aria la superficie per 5 secondi.
Dopo avere effettuato tali procedure adesive, si è proceduto per entrambi i gruppi con l’applicazione della resina composita (XRV Herculite – Kerr Italia Srl; Dentine A3 – Batch n. 3395397).
Essa è stata applicata secondo la tecnica incrementale, ovvero mediante applicazioni di piccole quantità al fine di evitare la formazione di vuoti e permettere una migliore polimerizzazione.
Ad ogni piccolo incremento è stata eseguita la relativa polimerizzazione per 30-40 secondi mediante lampada fotopolimerizzatrice.
Una volta raggiunto lo spessore di 5 mm di composito, si è proceduto alla fase successiva.
Si è inglobato il dente in un cubetto di resina.
Tale procedura è stata effettuata mediante la costruzione iniziale di uno stampo in cui successivamente è stato posizionato il dente da inglobare.
Tale stampo è stato costruito in silicone, fornito in base e catalizzatore, secondo le indicazioni della ditta produttrice.
Dopo aver costruito lo stampo si è posizionato il dente stesso al suo interno.
A questo punto è stato immesso nello spazio ricavato per il dente la resina che successivamente servirà per inglobare lo stesso.
Essa si trova in commercio sottoforma di polvere e liquido.
Dopo che sono state immesse le quantità indicate dalla ditta produttrice il tutto è stato inserito all’interno di una pentola a pressione, al fine di velocizzare il processo.
All’interno della pentola a pressione lo stampo in silicone col dente inglobato in resina è rimasto per 5 minuti circa.
Dopo aver atteso la completa solidificazione della resina,è stato estratto il blocchetto dallo stampo.
A questo punto si è proceduto con i passaggi successivi.
E’ stato attaccato il blocchetto in resina con all’interno il dente, mediante colla a base di cianoacrilato, ad un vetrino da laboratorio.
Nella macchina precedentemente usata per sezionare la corona è stato creato il vuoto, e in seguito attaccato il vetrino.
Si è quindi azionata la macchina sezionatrice MICROMET, che ha sezionato il blocchetto in resina.
Lo scopo era di ottenere delle sezioni che, congiuntamente alle sezioni perpendicolari che si sarebbero ottenute in seguito girando il blocchetto, sarebbero andate a creare gli stick usati per valutare la forza e la resistenza del legame.
Gli stick erano dello spessore di 1 mm in entrambe le direzioni.
Una volta ottenuti gli stick del primo gruppo, si è ripetuta la stessa procedura con i blocchetti dell’altro gruppo.
Quando si sono ottenuti tutti gli stick, si è proceduto al passaggio successivo. Sono stati messi gli stick in delle apposite piastrine in metallo con un’insenatura in cui inserire gli stick stessi. Le piastrine sono state inserite in un apposito macchinario di tipo LTM 150 della casa produtrice LAM Technologies che, collegato ad un computer è andato a rilevare le forze necessarie a rompere il legame. Nelle immagini di seguito la sequenza operativa:
I valori registrati sono stati quindi analizzati statisticamente tramite Anova a una via e test di Kolmogorov-Smirnov.
• Risultati
La statistica ha rilevato che il gruppo sabbiato ha dimostrato valori di adesione statisticamente superiori a quelli registrati per il gruppo non sabbiato, rilevando una significatività pari a p=0.020. L’ipotesi dello studio è stata quindi rifiutata.
I valori ottenuti sono riportati nelle seguenti tabelle:
|
|
N
|
Media
|
Deviazione std.
|
Errore std. Media
|
NON Sabbiati
|
15
|
178,2000
|
35,48279
|
9,16162
|
Sabbiati
|
15
|
329,7333
|
132,28242
|
34,15517
|
• Discussione
Una perfetta adesione tra materiale da restauro e sostanza dentale residua è fondamentale se si vuole ottenere una perfetta riuscita dell’intera procedura conservativa.
Proprio avendo nell’adesione “ideale” l’obiettivo di ricerca, sono state nel tempo numerose le innovazioni nel campo dei sistemi adesivi.
Ciò è vero sia per i materiali introdotti in commercio sia per le tecniche che sono via via state sperimentate.
Una delle tecniche studiate e sperimentate a tal proposito è l’applicazione dei cosiddetti “pretrattamenti”, ovvero procedure che vengono effettuate prima che venga effettuato il condizionamento della dentina.
Uno dei pretrattamenti recentemente più studiati consiste nell’applicazione di clorexidina 2%.
Essa infatti agisce come un fattore che va ad inibire le metalloproteinasi, degli enzimi proteolitici la cui produzione è favorita dall’acidificazione dell’ambiente causata dall’applicazione dell’adesivo.
Andando ad inibire l’azione di tale enzima infatti, la clorexidina impedisce, o perlomeno ritarda, il processo di degradazione delle fibrille collagene nell’hybrid bond layer.
Questa sperimentazione prendeva in esame il pretrattamento mediante sabbiatura con particelle di ossido di alluminio del diametro di 50 micron.
La sabbiatura è un processo mediante il quale avviene la formazione di micropori sulla superficie dentinale, con conseguente migliore capacità adesiva dettata dalla migliore ritenzione che ne consegue.
La sperimentazione effettuata presenta il limite di indicare valori di resistenza testati unicamente con un tipo di sistema adesivo, un sistema Total-Etch con tre passaggi differenziati per quanto riguarda il mordenzante ( acido ortofosforico al 37%), primer ( Opti-Bond FL Prime- Kerr Italia srl; Scafati, Italia) e Bonding (Opti-Bond FL Adhesive- Kerr Italia srl), per cui i dati non possono essere considerati indicativi per quanto riguarda altri materiali o altre tecniche adesive.
L’analisi statistica ha evidenziato che i valori dei due gruppi variavano in misura significativa.
Infatti il gruppo che aveva subito il pretrattamento mediante sabbiatura con ossido di alluminio presentava valori numerici significativamente superiori rispetto al gruppo che aveva seguito un protocollo standard senza alcun pretrattamento, evidenziando quindi il fatto che il processo di sabbiatura, piuttosto che il protocollo standard conferisce al legame adesivo una resistenza superiore.
Infatti, se il valore medio degli elementi del gruppo non sottoposto a sabbiatura era di 178.2 N, tale valore era nettamente inferiore a quello registrato nel gruppo in cui gli elementi avevano subito il processo di sabbiatura.
Essi infatti avevano un valore medio di 329.7 N, ovvero un valore quasi doppio rispetto all’altro gruppo.
Il risultato però deve tenere conto della deviazione standard nettamente superiore per il gruppo sottoposto a sabbiatura ( valore che è di 132.28) rispetto a quello non sottoposto a sabbiatura (valore di 35.48).
Nonostante i due gruppi avessero fatto registrare dei valori notevolmente diversi l’uno dall’altro, con quelli del gruppo sabbiato nettamente più elevati, i risultati che riguardavano la zona in cui era avvenuta la frattura erano abbastanza simili.
In entrambi i gruppi, infatti, la quasi totalità dei campioni aveva subito una frattura all’altezza dell’interfaccia tra sostanza dentale residua e restauro.
Pochi erano infatti i campioni che avevano fatto registrare in entrambi i gruppi una frattura coesiva all’interno della dentina.
Ciò era avvenuto non a caso in quei campioni nei quali la forza registrata necessaria per avere la rottura era risultata essere più alta rispetto a quanto accaduto con gli altri campioni.
• Conclusioni
• Utilizzando un sistema adesivo di tipo Total Etch, con tre passaggi differenziati per mordenzatura con acido ortofosforico, primer e bonding, il pretrattamento con sabbiatura mediante ossido di alluminio a 50 µm sembra incrementare i valori di resistenza alla trazione.
• La frattura in entrambi i gruppi (sabbiati e non sabbiati) si verifica quasi esclusivamente all’interfaccia tra la dentina e la resina composita. I campioni fratturati coesivamente all’interno della dentina sono risultati essere quelli in cui la forza necessaria per avere la frattura era più elevata.
• Un pre-trattamento di superficie mediante sabbiatura con ossido di alluminio in particelle di 50µm può essere suggerito prima delle fasi adesive se il clinico utilizza un sistema adesivo total-etch a 3 passaggi.
• Bibliografia
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RINGRAZIAMENTI
Ringrazio il Prof. Mario Baldi e il Dott. Maurizio D’Amario per la disponibilità e la cortesia dimostratemi e per il costante supporto nella compilazione di questo lavoro.
Ringrazio i miei genitori, che in questi anni non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno e, anche se da lontano, la loro presenza.
Ringrazio Domenico, che da ottimo fratello quale è mi è sempre stato vicino e mi ha sempre consigliato la cosa giusta al momento giusto.
Ringrazio i miei parenti tutti, dai nonni ai cuginetti più piccoli passando per gli zii; che mi hanno fatto sempre sentire presente cosa voglia dire la parola “famiglia”.
Ringrazio i miei amici di sempre Gianni, Valeria, Ignazio; che ogni volta tornato a casa mi hanno sempre fatto capire col loro affetto il valore dell’amicizia, e ricordato quanto aspettassero tornassi tra di loro.
Ringrazio Marco, Giacomo e Serena, coinquilini, colleghi e soprattutto veri amici; tali si sono dimostrati condividendo nell’arco di questi splendidi anni vissuti assieme, la gioia nei momenti felici e standomi vicini nei momenti negativi.
Ringrazio Luca,Stefano,Daniele,Christian, Beck,Marino, amici e colleghi coi quali nell’arco dei 5 anni si è istaurata un’ amicizia sincera che vedeva nelle consuete partite di calcetto, la cosiddetta “Odontochampions” , espressione massima di questo rapporto.
Ringrazio Sara, Raffaella, Filippo, Alessandro, Michele, Matteo e tutti i tanti altri colleghi e amici “sopra la media” che in questi 5 anni stupendi, hanno condiviso con me questa magnifica esperienza.
Infine un ringraziamento, che è assieme un saluto, per un mio amico fraterno che non c’è più, e che oggi sarebbe stato qui a festeggiare. Ciao Ciccio.
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